Una lettera dal passato pt.2

Don Milani lettera ad una professoressa

E non meno importante è la domanda “  Ma qual è lo scopo?”

Ci eravamo salutati in questo modo nel precedente articolo (), in cui abbiamo iniziato questo viaggio tra le pagine della  Lettera. Oggi riprendiamo il discorso provando a rispondere a questa e ad altre domande.

La scuola risponde spesso a questa domanda con l’importanza di avere una carriera,  (pensiero dominante nella società occidentale) ma questo, nella maggior parte dei casi, non infuoca lo spirito giovanile, che non ha ancora la fame di chi, spasmodicamente, mira alla scalata dell’immensa montagna sociale,  e la motivazione della carriera non ha effetto, così la scuola in tutta risposta usa i voti e le bocciature come mezzo per spronare i ragazzi a studiare, invece che come indice di meritocrazia, risultando così più dal tono minaccioso, che una voce nel vasto miscuglio di echi, che giungono sempre di più alle menti dei giovani. I ragazzi della scuola barbina infatti scrivevano

Gli onorevoli costituenti credevano che si patisse tutti la voglia di cucir budella o di scrivere ingegnere sulla carta intestata (…) Tentiamo invece di educare i ragazzi a più ambizione. Diventare sovrani! Altro che medico o ingegnere

È compito di un sistema educativo efficiente porre lo studio all’attenzione dei ragazzi per tutt’altri motivi: la dignità intellettuale, in primis, che significa saper essere sempre consapevoli di sè, essere in grado di prendere decisioni, se necessario andando contro corrente, allontanando quel moto di adeguamento al comportamento di tutti solo per stare nel branco. La Lettera, e mi sento di condividere, chiede alla scuola di proteggere i ragazzi, non mettendoli sotto una campana di vetro ma insegnando loro a pensare e a non fare mai niente senza prima averlo sottoposto ad una critica fatta secondo parametri personali. 

La salvaguardia delle componenti più deboli della scuola, messa in luce dalla denuncia Barbiana, assume più aspetti. Primo tra questi la lingua, Don Milani infatti si concentrò molto su questo tema:

 “Le lingue le creano i poveri e poi seguitano a innovarle all’infinito. I ricchi le cristallizzano per poter sfottere chi non parla come loro. O per bocciarlo”.

Oggi ad un occhio superficiale potrebbe sembrare che le cose siano totalmente cambiate sotto questo punto di vista, e che sarebbe anche inutile discuterne, considerando l’avvento dei social, inteso come accesso facilitato ad una piattaforma in cui il confronto non avviene solo col vicino di casa in dialetto, ma con più persone di città, e a volte, paesi diversi. Eppure non è così scontato che all’interno delle quattro mura scolastiche vi sia un processo di integrazione rispetto a delle realtà un po’ più “borderline”; spesso per portare a termine la corsa alla fine del programma, e non avendo altre soluzioni, come eventuali corsi pomeridiani, ragazzi con un retaggio linguistico circoscritto vengono trascinati per mesi e mesi, abbozzando qualche passo in avanti, arrivando alla conclusione in cui il miglioramento è al minimo, e l’accesso alla cultura, per lui, non ha funzionato. E anche qui si ritorna alla necessità, espressa dai ragazzi della scuola Barbiana di accompagnare i ragazzi più deboli, non di affossarli, in nome di un’ élite culturale.

L’occhio attento di Milano anticipò i tempi per quanto riguarda i NEET, infatti tra le pagine della lettera scrive : “Abbiamo visto che con alcuni di loro la lezione diventa difficile. Qualche volta viene la tentazione di levarseli di torno. Ma se si perde loro la scuola non è più scuola.”

Si parla dei ragazzi pluribocciati, svogliati, difficili, che non vediamo più nelle classi ancor  prima del conseguimento del diploma, o meglio, prima che la scuola abbia contribuito anche un minimo a farli sentire capaci di trovare posto nella collettività un giorno, o all’interno della loro classe. Si perdono e finiscono a ridimensionare il proprio potenziale fino a ridurlo sul divano dei genitori. Nonostante i progetti nati col fine di impedire questo meccanismo, che peserà in futuro anche sulle casse dello stato, in Italia abbiamo la percentuale più alta di NEET di tutta Europa. Risulta quasi lampante come la scuola si comporti, sì come un ospedale, ma come uno di quelli che funziona benissimo con i sani e con i malati un po’ meno. Il mondo entra nella scuola, non possiamo riferirci ad essa come ad luogo “impermeabilizzato” in cui i ragazzi fanno il loro ingresso al suono della campanella e, come per magia, il resto sparisce e le lezioni impartite hanno una risonanza nelle loro menti. E’ necessario fare entrare il mondo nelle aule, insegnare ad analizzarlo, interpretarlo. E’ necessario dare spazio alle domande e dare delle risposte a partire dalla cultura, offrire libri come mezzi di difesa e di comprensione, non come, unicamente, oggetto e soggetto ad interrogazione. E’ necessario che la matematica non rimanga tra i libri dalla copertina immacolata, e che l’infinito di Leopardi non sia solo inchiostro sprecato, ma una metafora di vita insegnata a tutti, in modo da farli sentire meno “piccoli”.

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