Invalsi: tra numeri e prospettive del test più discusso d’Italia

Tutti le hanno fatte, tutti se ne sono domandati l’utilità. Anzi, proprio la mancanza di chiarezza legata alla funzione di queste prove ha spesso, negli anni, portato la popolazione scolastica – tanto studente, quanto docente – a sottovalutare il valore delle prove, falsificando la realtà con i risultati ottenuti.  

Le 5 W degli INVALSI: cosa, come, dove, quando e perché

Ma cosa sono gli INVALSI? INVALSI è l’acronimo per Istituto Nazionale per la Valutazione del Sistema educativo di Istruzione e formazione. Istituite, nella forma con la quale le conosciamo adesso, con D.Lgs. n. 62/2017, nascono con lo scopo di accertare i livelli generali e specifici di apprendimento di tutti gli ordini; operano su base censuaria (quindi completa, di tutte le classi soggette alla rilevazione) e riguardano l’insegnamento dell’italiano, della matematica e dell’inglese. La storia non è recente: le prime prove risalgono ai primi anni 90, prima ancora che l’istituto invalsi venisse creato (nel 1999 con la L. 59/1997 su proposta del ministro Luigi Berlinguer, che ne definiva l’evoluzione a partire dal Centro Europeo dell’Educazione (CEDE), creato nel 1974). Agli Invalsi viene conferito ufficialmente il compito di verificare gli standard nazionali con la legge n.53/2003. In tale mansione è affiancato anche dall’INDIRE (Istituto Nazionale di Documentazione, Innovazione e Ricerca Educativa). Ad oggi il principale compito dell’istituto è quello di ideare, pre-testare e poi diffondere nelle varie scuole le prove di valutazione.

Dal 2018-2019, anno di applicazione della riforma del 2017, sono state introdotte una serie di novità, quali l’introduzione della prova di Inglese per il grado 5 (quinta primaria) e per il grado 8 (terza secondaria di primo grado), con i risultati descritti in base al QCER (Quadro di riferimento Europeo); la realizzazione delle prove al computer nel grado 8 e nel grado 10, con correzione centralizzata delle prove stesse; la restituzione individuale dei risultati delle prove del grado 8 non più con punteggi, ma per livelli descrittivi delle prestazioni cognitive proprie di ciascun livello.

L’introduzione di prove computer based è particolarmente rilevante per quanto riguarda i dati, in quanto, tramite la somministrazione di test differenti postazione per postazione, e la correzione automatizzata, è stato praticamente annullato il fenomeno del cheating[1], da parte di studenti e docenti. A partire dal 2018, l’INVALSI assegna a ogni studente un livello di competenza per l’Italiano e la Matematica ai gradi 8, 10 e 13, e, per l’Inglese, ai gradi 5,8 e 13. Un livello non è un numero, ma una descrizione di quello che lo studente sa fare negli ambiti previsti dalle prove, quindi della sua capacità di compiere specifiche operazioni cognitive. Per utilizzare le conoscenze, connetterle fra loro e applicarle a problemi nuovi. Un livello è dunque più ricco di informazioni del semplice punteggio. I livelli raggiunti ai gradi 8 e 13, le classi terminali del primo e del secondo ciclo d’istruzione, vengono comunicati agli studenti e alle famiglie all’interno di documenti formali consegnati alla fine dell’anno scolastico.

Negli anni gli INVALSI sono stati nel centro del mirino delle critiche e dei dibattiti riguardanti le riforme scolastiche, perlopiù a causa dei fondi ingenti destinati all’istituto (a fronte di un sistema scolastico ed educativo spesso carente e bisognoso di supporto economico) della funzione delle prove stesse, nonché il criterio strutturale per la loro organizzazione.

I dati

L’istituto è particolarmente scrupoloso nel rendere i propri dati chiari e accessibili, registrando i risultati in dettagliati report anno per anno. Questi, oltre a riportare le risposte ai singoli test, le analizzano  in base a variabili quali il genere dello studente, la cittadinanza, l’essere in anticipo o in ritardo rispetto al normale percorso degli studi e lo status socio-economico-culturale della famiglia dello studente (indice ESCS).

Dai report si notano dei pattern ricorrenti. Se si considera la matrice prettamente diatopica, si può notare una tendenza al distanziamento delle performance dalla media nazionale, in direzioni opposte: se il Nord se ne distacca in positivo, il Sud e le Isole tendono ad andare verso valori negativi. Nel caso di Calabria e Campania spesso i risultati sono particolarmente preoccupanti. Sembrerebbe che, se le performance siano equiparabili nelle scuole primarie, le differenziazioni tra regioni incorrano progressivamente con il proseguimento della formazione verso i livelli superiori. A cosa poi siano dovute queste differenziazioni, è un dato che va oltre il mero calcolo statistico. Quanto emerge è, in generale e con poche eccezioni regionali, che le scuole del Sud e delle Isole sembrano offrire meno possibilità in termini di formazione equa e bilanciata: il divario cresce con l’aumentare di grado, si acuisce in base alle condizioni socio-economiche e culturali della famiglia di origine. Si registra una maggiore variabilità anche tra le scuole, contrariamente agli istituti delle aree settentrionali, dove lo scarto è di pochi punti.

Interessante è la crescente attenzione alla popolazione di immigrati che, se negli anni precedenti era stata considerata come un tutto omogeneo raggruppato sotto l’etichetta “immigrati”, nelle ultime prove è stata divisa in immigrati di prima e immigrati di seconda generazione. Tale distinzione si è resa necessaria per rendere conto dei risultati eterogenei ottenuti dalla categoria: se gli immigrati di prima generazione raggiungono livelli sistematicamente più bassi rispetto a quelli dei propri colleghi italiani, le performance degli immigrati di seconda generazione eguagliano e spesso superano quelle degli autoctoni, soprattutto nelle prove di inglese.

Una questione spinosa poi è quella che prende il nome di gender gap: sono più bravi i ragazzi o le ragazze? E in cosa?

Nelle scuole primarie sembra che i bambini abbiano performance migliori delle ragazze in matematica; viceversa, le bambine hanno una maggiore padronanza delle prove di italiano e inglese. Spostandoci alle scuole secondarie, le performance differiscono a seconda del tipo di istituto: nei licei e negli istituiti professionali la differenza è significativa in italiano (a favore delle ragazze), ma non in matematica; viceversa negli istituti tecnici il gap è statisticamente rilevante in matematica (a favore dei ragazzi). Le differenze di genere non sono avvertite nelle prove di inglese, mentre i ragazzi vengono valutati sistematicamente meglio delle ragazze in matematica.

La questione del gender gap si è ulteriormente complicata negli ultimi anni grazie al rilievo (mediatico e non) che ha assunto più in generale la teoria del gender, portando a domandarsi quanto la percezione dello studente stesso riguardo la propria sessualità e il proprio genere possa influire sui risultati. Un altro punto dibattuto riguarda la struttura delle prove in sé, dal momento che le domande a scelta multipla sembra che favoriscano, per struttura cognitiva, la popolazione maschile.

La questione più annosa e politicamente pungente invece riguarda l’analisi disastratosa dei risultati in base alla provenienza familiare. L’ambiente ci plasma, di conseguenza è utile tener conto dei fattori ambientali che toccano la realtà più intima e quotidiana di ciascuno studente. Per misurare la condizione socio-economica e culturale l’INVALSI costruisce, integrando diverse variabili, un indicatore denominato ESCS (Economic Social Cultural Status index), standardizzato in modo da far corrispondere il valore zero alla media italiana e ogni unità sopra o sotto di essa alla deviazione standard della distribuzione dei valori. Quella tra status socio-economico-culturale e risultati nelle prove INVALSI è una semplice associazione e non implica un rapporto di causa-effetto.

L’esistenza di una relazione tra queste due variabili, l’ESCS e il risultato nelle prove, non significa che uno studente di origini modeste abbia necessariamente bassi risultati e che gli studenti che hanno alle spalle una situazione avvantaggiata socialmente ottengano sistematicamente alti risultati, ma solo che, mediamente, gli alunni che partono da condizioni più favorevoli conseguono migliori risultati degli alunni svantaggiati e viceversa.

L’ESCS influisce anche sulla scelta della scuola secondaria di secondo grado: valore medio dell’indice, nei Licei scientifici e classici è pari a 0,52, più alto, dunque, della media italiana, negli altri Licei, con un valore di 0,01 è intorno alla media, negli Istituti tecnici e negli Istituti professionali è inferiore ad essa, registrando un valore eguale a -0,19 nel primo caso e a -0,57 nel secondo. Al riguardo è necessaria una precisazione forte: il perseguimento di un sistema scolastico che permetta ai propri studenti di conseguire una formazione adeguata esclusivamente sulla base delle proprie facoltà cognitive e dell’organizzazione scolastica stessa è tra gli obiettivi principali di un sistema democratico che tenda all’equità. Purtroppo è anche da dire che nessun sistema statale, ad oggi, riesce completamente in tale obiettivo.

Un parere non richiesto: divario nord-sud

Come precisato in molti dei resoconti invalsi che è possibile trovare sulla piattaforma digitale dell’istituto, i dati, così presi, sono semplicemente numeri. Una stima della preparazione degli studenti italiani, fondata esclusivamente sulla base dei dati invalsi, è una stima sterile. Dovremmo sinceramente pensare che al Nord Italia gli studenti siano più intelligenti che al Sud? E per quale motivo? Una predeterminazione del patrimonio biologico che influenza la realizzazione cognitiva?

Vi anticipo: la risposta è no. Una conclusione del genere sarebbe basata sulla credenza che la statistica non sia altro che un grafico di percentuali che scendono e salgono. Proprio in quanto scienza della generalizzazione,  i dati così tratti non hanno attinenza alla realtà, a meno di un reale confronto tra questi e i fattori ambientali che fanno da corollario al panorama.

E un confronto richiede domande. Quali? Chiudiamo questo articolo con alcuni spunti di riflessione. Perché il tasso di abbandono maggiore si registra al Sud Italia? E perché, nel sud Italia, si realizza nelle scuole professionali e tecniche? Per quale motivo la Campania e la Calabria registrano punteggi sistematicamente più bassi di tutte le altre regioni, anche di quelle limitrofe quali Abruzzo, Molise, Basilicata? Perché la situazione, omogenea nei primi anni di scuola, tende a differenziarsi notevolmente con la crescita degli studenti?

Non basta chiedersi dove avviene questo fenomeno, ma è necessario sviluppare una consapevolezza del perché, alla ricerca di quella che Tucidide avrebbe definito αἴτιον (la “vera causa”). E questa ricerca affonda le radici nel territorio, che pervade in maniera invasiva, in positivo e in negativo, la realtà scolastica.

Bisogna forse domandarsi quale sia l’utilità del testare a livello nazionale gli studenti e, una volta reperiti i risultati, quale sia il modello valutativo degli stessi. Il ricercare il livellamento è utile per immaginare il panorama omogeneo al quale si tende, ma l’orizzonte nel quale ci si muove è pluralità e specializzazione: c’è l’innato, l’organico e omologo, ma ci sono anche le condizioni specifiche a contorno, l’ibridazione socio-culturale, che non possono essere escluse da una valutazione che non vuole essere parziale e parzializzante.

Si badi bene: quanto riportato qui è ben chiaro agli occhi di chi le invalsi le prepara e le valuta, un po’ meno a chi invece ne parla. Gli studiosi, nella stima di questi valori, sono sempre più impegnati ad individuare nuove variabili che possano rendere quanto più veritiero il quadro emergente dall’analisi statistica dei risultati delle prove. Ciò che resta da fare, adesso, è utilizzare questi dati per quel fine di equità del quale si parlava prima.


[1] Sotto l’etichetta cheating vengono raccolti tutti quei comportamenti scorretti adottati da studenti e docenti per falsare i risultati delle prove

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