Villa Borghese: una cultura aperta per la democratizzazione

Ospite rubrica: Serena Daoli

Galleria Borghese non accompagna il visitatore verso la scoperta delle statue del Bernini, ma lo getta improvvisamente con il fiato corto al cospetto di una delle sculture più realiste e avvolgenti mai create: il ratto di Proserpina. Increduli davanti a tanta immediata bellezza, mentre alcuni si chiedono ancora dove inizi la mostra, i più si dirigono velocemente per individuare la posizione migliore da cui osservare la mano di Ade che stringe la coscia di Proserpina, pronto a staccarla per sempre dalla vita terrena per trascinarla giù con sé negli inferi.Con la prima sala Galleria Borghese scocca la sua freccia migliore sui visitatori, che piegati alla grandezza del Bernini percorreranno tutta la mostra con il ricordo di quella mano, di quei segni e della prepotenza che il rapimento emana. Le statue marmoree sono così catalizzanti da far talvolta trascurare la grandiosità delle sale, dei soffitti e delle pareti. Attraversando la galleria si pensa subito che quel luogo meriterebbe una visita indipendentemente dalle sculture e dai dipinti, la cui presenza, comunque, rende tutto ancora più maestoso e inarrivabile.

Proseguendo nella visita del primo piano ci imbattiamo nel gruppo scultoreo “Enea e Anchise” del Bernini. La scena del figlio che porta in braccio il padre per salvarlo dalla distruzione della città ha una dinamicità così forte da temere quasi l’imminente caduta della composizione. Facciamo a  gara a chi si ricorda meglio l’episodio narrato nell’Eneide, ce lo raccontiamo e aggiungiamo dettagli l’una alla storia dell’altra. La scultura sembra sempre più viva.

Superata questa stanza, ci ritroviamo faccia a faccia con Caravaggio nelle vesti del Bacchino Malato: la figura è stanca, pallida, contratta. Avremmo voluto soffermarci di più sulla complessità del dipinto, ma ormai il nostro sguardo era stato rapito dalla velocità con cui tutti si avvicinavano alla stanza successiva. Ci muoviamo anche noi. Dalla magia caravaggesca di luci e ombre ci ritroviamo catapultate davanti all’eleganza di Paolina Borghese (Canova), orgogliosa Venere che, avvolta nei suoi eleganti ed eterei drappeggi, ti accoglie nella stanza immersa in un’atmosfera di rispettosa intimità. Qui ci riuniamo tutte qualche istante a fissarla. E’ davvero bella.

Galleria Borghese ci fa sentire coinvolte. Abbiamo la sensazione che le opere vogliano comunicarci qualcosa, che il percorso museale sia stato pensato per trascinarci in una storia antica e farci vivere un viaggio lontano dalle preoccupazioni presenti. Un attimo prima di entrare alla mostra le nostre chiacchiere di amiche si concentrano su quel tirocinio che non ci soddisfa, o sul bellissimo volontariato che purtroppo non ci dà uno stipendio; ma, varcata la porta della sala principale, tutto cambia. L’arte é questo per noi: vivere una vita parallela, dove le emozioni e le speranze prendono forme meravigliose e colori lucenti. D’altra parte, se Canova riesce a rendere così bella e reale Paolina Borghese, allora anche noi possiamo conservare la speranza di realizzare un nostro capolavoro. 

A conclusione del viaggio del primo piano, come entrando in una scena teatrale, si varca la soglia dell’ultima stanza che accoglie il gruppo scultoreo di “Apollo e Dafne” del Bernini. Ammirando il movimento che avvolge i due giovani ti chiedi come una mano umana possa aver generato tanta perfetta bellezza. Lo spettatore può estraniarsi dalla realtà tangibile per rivivere la scena mitica della metamorfosi che qui si presenta in tutta la sua potenza. Di fronte a queste opere marmoree il tempo si ferma, l’azione è sospesa ma viva e non si può che attendere in silenziosa contemplazione che la scena narrata si compia: che Proserpina si dibatta nella forte stretta di Plutone, che Enea continui il suo cammino e che Dafne, nel suo grido finale, si trasformi per sempre in alloro.

Il Piano superiore custodisce la collezione pittorica della Villa. In un labirinto di dipinti, tra Raffaello, Carracci e il Perugino, risalta il confronto tra le veneri del Tiziano. Sulla parete di sinistra, “Amor sacro e Amor profano” di un Tiziano ancora giovane e appassionato; a destra, “Venere che benda Amore” con l’inconfondibile stile di un Tiziano più maturo. Ognuna di noi sceglie la propria Venere preferita, rapite dai suoi colori e dalle sue figure così delicate. 

I divani rossi su cui appoggiarsi e il silenzio dell’ultima sala concedono di soffermarsi più a lungo davanti a queste opere e di apprezzarne fino in fondo la forza.

Pensare a tutto il bello racchiuso in appena due piani é sconvolgente; ospitare Bernini e Canova in un Villa romana nel mezzo di un parco spettacolare quale Villa Borghese dà la misura dell’immensa eredità artistica che il nostro paese custodisce. 

I complessi scultorei a doppia figura tipici del Bernini caratterizzano molte delle sale del primo piano, i corpi si uniscono e si completano in un intreccio che sa di poesia e che lascia tutti senza parole. Come descrivere la maestosità che supera la maestosità?

Con questa sensazione di meraviglia ci avviamo verso l’uscita, dove ad attendere il visitatore si trova uno dei parchi più belli di Roma. Passeggiando, non possiamo fare a meno di fantasticare sulla vita di questa ricca famiglia, i Borghese di fine ‘500 e inizio ‘600, e sul loro ruolo di mecenati creatori e fruitori di bellezza ‘esclusiva’, riservata a pochi fortunati benestanti. Le disuguaglianze nell’accesso al patrimonio artistico e nella sua realizzazione non sono certe svanite; fortunatamente, però, nel 1901 lo Stato Italiano ha acquistato il parco, per poi cederlo al comune di Roma nel 1903, così che tutti i romani potessero godere di quello spazio, trascorrendo le loro domeniche all’interno del meraviglioso giardino della Villa.

“Ogni individuo ha diritto di prendere parte liberamente alla vita culturale della comunità, di godere delle arti e di partecipare al progresso scientifico ed ai suoi benefici”

Dichiarazione Universale dei Diritti Umani

 Il patrimonio culturale di un paese nasce per essere al servizio della collettività e la gratuità della sua fruizione è necessaria proprio per assicurare la centralità della cultura all’interno della coscienza collettiva di un popolo. Riappropriarsi di quegli spazi e di quelle opere risulta allora fondamentale per chi, come noi, ha preoccupazioni da affrontare, ma vuole ricordarsi che esiste qualcosa di più oltre gli affanni quotidiani, e che il bello é sempre lì ad aspettarci. 

La bellezza, un tempo esclusiva, è ora bellezza condivisa.

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