Flipped classroom: capovolgere per innovare

Un tema fondamentale della didattica dei giorni nostri, ancor più in tempo di pandemia, è il rapporto con la tecnologia e la conseguente introduzione di modalità di trasmissione del sapere innovative e più efficaci. Una proposta che si sta facendo spazio nel mondo dell’insegnamento è la classe capovolta, Flipped Classroom (FC) in inglese.  Questa descrive la messa in pratica della strategia chiamata, a livello generale, Flipped Learning (FL): 

Flipped Learning is a framework that enables educators to reach every student. The Flipped approach inverts the traditional classroom model by introducing course concepts before class, allowing educators to use class time to guide each student through active, practical, innovative applications of the course principles

Academy of Active Learning Arts and Sciences

Questa definizione, proposta dall’Academy of Active Learning Arts and Sciences (AALAS), indica una struttura/strategia (framework) che propone di anticipare ad un momento precedente alla lezione la trasmissione della conoscenza, dedicando dunque il tempo della lezione in presenza ad un approccio più attivo e pratico verso la materia oggetto di insegnamento. 

Ho scelto questa definizione, tra le molteplici presenti in internet e nei vari libri che trattano l’argomento, perché rispetta l’idea di uno schema che deve essere applicato – e, così, completato – dal docente secondo le proprie convinzioni didattiche. Non è, quindi, una lista di prescrizioni su come fare didattica, che risulterebbero in una organizzazione rigida dell’insegnamento. Al contrario, rispecchia la necessità che ogni docente adatti il proprio insegnamento alle esigenze della classe, nel pieno rispetto dell’autonomia didattica. 

Un esempio di flipped classroom, via Design Didattico

Prima inversione

La strategia della classe capovolta è diventata un argomento comune nella sua forma che prevede la realizzazione di contenuti video per sostituire la lezione frontale. Per alcuni questa è una modalità innovativa di fare didattica (introdurre della tecnologia è innovazione tout court, giusto?), quando in realtà è la pura riproposizione della lezione frontale, metodo sperimentato e consolidato da almeno un millennio. In una forma ancora più tradizionale, già negli anni ‘90 Eric Mazur sosteneva che questo passaggio poteva essere svolto utilizzando i libri, ottimo supporto per la trasmissione della conoscenza.

Il punto di forza dell’utilizzo dei video rispetto alla classica lezione in presenza sta, piuttosto, nella possibilità di riascoltare il materiale. Così, ogni studente può adattare il processo di apprendimento alla propria velocità individuale, non dovendosi adeguare al ritmo scelto dal docente per poter raggiungere tutti gli studenti, o almeno la maggior parte. Questo ha molteplici vantaggi, uno su tutti l’autoefficacia percepita. Non tutti gli studenti riescono a seguire le lezione allo stesso modo e qualcuno potrebbe rimanere indietro: la possibilità di adattare l’insegnamento al proprio ritmo può aiutare sia lo studente maggiormente performante ad approfondire determinati temi, sia quello con più difficoltà ad evitare di sviluppare lacune che potrebbero risultare dannose per l’apprendimento successivo. Una scuola veramente inclusiva deve mettere anche le persone dotate di particolari talenti nella posizione di poterli sviluppare al meglio, in un ambiente che sia stimolante ma non lasci indietro nessuno. 

Lo sviluppo dell’autoregolazione e della percezione di autoefficacia è fondamentale nel passaggio da un’istruzione relegata ad un tempo preciso, quello della scuola e a volte dell’università, a un’altra che ha come obiettivo primario la preparazione dell’individuo ad affrontare l’intera vita in un’ottica di formazione: il principio dell’apprendimento permanente, o long-life learning

Ma è legato allo studio individuale anche il grosso problema che può aprire questa forma di trasmissione della conoscenza: uno studente poco motivato che non prepara la lezione in anticipo potrebbe inficiare le possibilità che si aprono nel momento di didattica in presenza. Il docente si troverebbe così davanti al dilemma tra ripetere ciò che dovrebbe essere già stato trattato dallo studente, oppure rischiare l’esclusione di questo.

L’apprendimento capovolto non si presta all’improvvisazione nella speranza di ottenere buoni risultati, ma è una possibilità organizzativa che deve trasformarsi in forma mentis per poter funzionare davvero. Una scarsa motivazione non va, quindi, ritenuta una colpa dello studente, ma un difetto di programmazione dettato dalla distanza tra gli obiettivi di apprendimento e gli obiettivi dello studente. Lo scopo della lezione in presenza, di cui si parla nel paragrafo successivo, è quello di creare dei ponti tra questi due piani per metterli in comunicazione secondo un orizzonte di senso condiviso e quindi, potenzialmente, aumentare la motivazione.

Seconda inversione

Il punto focale dell’approccio FL lo si trova nelle strategie didattiche che si mettono in campo nel momento della presenza. L’idea è che il tempo – che, durante la pandemia, abbiamo riscoperto essere una risorsa preziosa – possa essere dedicato alla costruzione dei saperi per andare oltre al modello dello studente come un sacco da riempire. Ciò può avvenire attraverso lavori di ricerca (inquiry-based education) e di sistematizzazione della conoscenza (creare collegamenti, darne valore, etc), con un lavoro individuale che faccia confrontare con la propria percezione di autoefficacia, o collaborativo per sviluppare la capacità di lavorare in gruppo. Quest’ultima è una delle competenze trasversali più richieste, non solo a livello di mercato, ma soprattutto umano. La pratica di gruppo, infatti, facilita lo sviluppo di una capacità di discussione e ricerca di punti di comprensione reciproca, oltre che di negoziazione e mediazione tra punti di vista differenti.

Il discorso sulle didattiche attive si collega direttamente con un altro dibattito aperto al giorno d’oggi: la didattica per competenze. Favorirne lo sviluppo attraverso nuove forme di didattica è la base per non lasciare il discorso alla mercé del mercato, dal momento che la presunta trasversalità delle competenze le rende degli ottimi fattori per lo sviluppo personale, molto prima di essere delle merci da immettere nel mercato del lavoro.

L’utilizzo di didattiche attive permette di avere a disposizione molto più tempo, cosicché non ci si debba limitare alla valutazione della prestazione, ma ci sia la possibilità di dedicarsi alla valutazione formativa. La didattica attiva permette di ricevere numerosi feedback su cui costruire un dialogo, talvolta mancante durante una lezione frontale. La conoscenza non dovrebbe essere valutata solamente per dare un voto, ma far parte del processo di autovalutazione per poter arrivare alla competenza di quella conoscenza, ossia alla capacità di collegarla, utilizzarla e renderla viva.

Talk di Eric Mazur, tra i primi ad occuparsi di peer education

Conclusioni

Uno dei rischi a cui si va incontro nell’adottare il Flipped Learning è quello che gli studenti vedano questo cambiamento come uno stratagemma del docente per delegare a loro quello che dovrebbe essere il suo compito. Questo è dovuto al fatto che lo studente sia abituato ad una certa forma di didattica che lo porta a pensare che il lavoro del docente si fermi al momento della sua presenza in classe e alla spiegazione ‘da programma’ degli argomenti.

Al contrario, l’attivazione di questa strategia può richiedere un impegno decisamente più corposo, soprattutto se si propongono dei materiali originali pensati appositamente per la classe. Il passaggio più oneroso è però la progettazione del percorso: il cambiamento necessita di essere organizzato in tutti i suoi aspetti, perché la richiesta di responsabilità agli studenti è maggiore rispetto a quella dettata da una didattica più tradizionale.

La Flipped Classroom non è un’innovazione che sconvolge gli schemi, dal momento che tutti i suoi aspetti sono stati sperimentati e utilizzati da tempo; il fattore innovativo risiede maggiormente nella diversa organizzazione e sistematizzazione di questi.

L’utilizzo dei supporti elettronici non è il fulcro della strategia, ma al massimo uno strumento che può aiutare a svolgere alcuni passaggi. Non dev’essere, quindi, nemmeno il totem di chi pensa che la tecnologia possa risolvere tutti i problemi. L’asse portante dev’essere assolutamente il docente che, adattando la strategia alla propria realtà e trasmettendone con la giusta comunicazione le possibilità e le criticità, riesce ad ottimizzare il tempo trascorso in presenza dei suoi allievi in modo da attivare davvero il valore trasformativo dell’esperienza scolastica.

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