Reti intricate: cosa comporta la nuova governance del PNRR per il sistema universitario e di ricerca?

Con il termine hub and spoke si intende solitamente un modello di sviluppo di reti complesse, ad esempio le compagnie aeree. La rete è formata da un hub, che è il centro, lo scalo dove si concentrano la maggior parte dei voli, collegato agli altri spoke. Nella gestione della sanità esiste lo stesso modello: l’assistenza al paziente in caso di situazioni molto complicate viene fornita da centri di eccellenza di macro area, detti appunto hub, cui afferiscono i centri periferici. Usando questo sistema di gestione e sviluppo delle reti, nel quale le connessioni si realizzano – come nella ruota della bicicletta – dallo spoke («raggio») verso l’hub («perno»), si creano dei collegamenti più efficienti.

L’idea di gestire in questo modo la governance dei finanziamenti erogati nell’ambito del PNRR è sicuramente un unicum innovativo, ma è utile chiedersi quali potrebbero essere le possibili conseguenze sul sistema universitario e di ricerca.

La traduzione amministrativa del modello Hub&Spoke

Nell’ambito dei fondi concessi dal PNRR, un hub è composto dal soggetto singolo (università o centro di ricerca) che propone un progetto, e dal raggruppamento di enti pubblici o privati che si forma per coordinare e raggiungere gli obiettivi del progetto finanziato. All’hub, anche detto soggetto attuatore, spettano tutte le attività di gestione, di supporto alla ricerca, di rendicontazione e di reclutamento.

Gli Spoke sono i soggetti esecutori, individuati dall’hub stesso e coinvolti nella realizzazione del progetto. Sono spesso università specializzate in una area specifica di interesse, a cui spetta l’attività di ricerca vera e propria mediante il coinvolgimento di professori e ricercatori.

Da grandi responsabilità derivano grandi poteri: la corsa agli hub

Diventare hub non è semplice: essere un centro organizzativo di gestione infrastrutturale va ben al di là delle missioni che di solito sono attribuite alle Università, e rispecchia un modello organizzativo e gestionale forte e autonomo. Essere hub dimostra una capacità di proporre e gestire su più annualità ingenti risorse e attività e coordinare una serie di altre organizzazioni e istituzioni. Allo stesso tempo, se abbiamo detto che avere il ruolo di coordinatore prevede assumersi difficili responsabilità, non possiamo disconoscere il potere che ne deriva. Diventare hub per una Università è una corsa che ricorda quella nel Klondike, e spesso sono i centri più grandi, più strutturati, che hanno più contatti con il tessuto territoriale, più risorse e capacità ex ante che si aggiudicano con successo il ruolo e lo sanno mantenere, costruendo e gestendo la rete in autonomia. 

Tutto di nuovo, niente di nuovo 

Viene da chiedersi se questo innovativo sistema di governance, che dovrebbe favorire la sistematica cooperazione e la creazione di reti in una maniera efficiente, efficace e controllata, potrebbe invece esacerbare quelle dinamiche territoriali e di potere che già conosciamo.

Il nodo potrebbe stare nella grande autonomia delle università: infatti a livello centrale viene adottata una prospettiva legata al merito e se un ente dimostra di essere più dinamico, più reattivo, più capace di proporre e di gestire, allora lo Stato, d’amore e d’accordo con l’Unione Europea, non solo lo finanzia volentieri, ma ne approva per un certo grado l’autonomia gestionale, pur mantenendo la titolarità dei controlli richiesti dalla Commissione.

In questo meccanismo, emergono due elementi fondamentali: 

  1. dato che certe capacità e risorse gestionali sono spesso frutto del merito, creatosi nel tempo anche a fronte di dinamiche strutturali e territoriali che ripropongono le medesime disuguaglianze tipiche della nostra società (banalmente, università del nord e del sud Italia), se queste dinamiche non sono contrastate da un investimento specifico nella creazione di capacità gestionali e organizzative in tutte le università, si corre il rischio di istituzionalizzare il ruolo centrale di alcune università (hub) rispetto ad altre. Potrebbe succedere che sistematicamente le università piccole, lontane dai grandi centri, siano destinate ad avere un ruolo di spoke, prendendo parte alla ricerca senza avere un ruolo decisionale né gestionale delle proprie attività. 
  2. viene de facto accordata una maggiore autonomia ad enti che dovrebbero avere come priorità non il coordinamento della rete, bensì la ricerca stessa e la qualità dell’educazione. 

Queste riflessioni preliminari diventano urgenti se questo sistema di governance non si dovesse rivelare un episodio isolato, e le modalità attuative e gestionali dovessero rimanere nel meccanismo dei fondi europei e nazionali. La conseguenza per ora sembra essere l’introduzione di una “quarta missione”, che si andrà ad aggiungere alle altre tre per le università italiane, o almeno per quelle che ne risultano meritevoli

Speriamo allora che il concetto di merito sia misurato bene, e che vengano assicurate a tutti uguali condizioni di partenza. Altrimenti, la corsa all’oro la vinceranno sempre gli stessi.

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